23 anni sono trascorsi dalla caduta del Muro di Berlino, che sembrava dovesse portare il mondo verso un cessate il fuoco tale da arginare il rischio nucleare e verso l’allentamento delle tensioni lungo la cortina di ferro. Era infatti divisa, a quei tempi, l’Europa occidentale da quella orientale, spaccando a metà una città intera, Berlino. Quella alla quale si assisté fu una prova di avvicinamento culturale e commerciale, se non mossa in realtà da ragioni ancor più rilevanti, politiche, relative ai fondamentali, imprescindibili rapporti tra Est e Ovest del Pianeta.
Due furono i leaders a reggere le fila: Gorbachev, da un lato, il quale permise due anni dopo la caduta
ufficiale dell’U.R.S.S., per permettere la liberazione ed indipendenza di tutti
i paesi dell’Est, fino ai 91 satelliti del decaduto impero sovietico ed il
passaggio del testimone a Eltsin; dall’altro, l’attore divenuto presidente
degli U.S.A, Ronald Reagan, icona
del sogno americano. Ma l’intermediario fondamentale fu senza ombra di dubbio
il Papa polacco Karol Wojtyla, Giovanni
Paolo II.
Il primo Pontefice non italiano eletto nel ‘78 fu artefice
di una vigorosa azione politica, che
sancì la fine del comunismo oppressivo favorendo pertanto la creazione di un socialismo
reale, che si rifletteva nella linea politica di Gorbachev, orientato verso
un’azione politica socialista più democratica, che si espresse nella
Perestroika.
Nel mondo attuale, similmente, è possibile assistere ad un
intervento fondamentale della Santa Sede a guida di Papa Francesco I, gesuita, uomo molto deciso e diretto, che può
facilitare una reale conclusione del conflitto russo-ucraino e gli sviluppi
positivi che la fine della guerra può portare a medio-lungo termine,
soprattutto sul piano politico, economico e nondimeno sociale, per un
riavvicinamento degli abitanti dei paesi vicini, tra loro collegati perché
precedentemente cittadini di uno stesso Paese unito.
Daniel Mateo Montalcini - a cura di Massimiliano Nespola
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