sabato 15 aprile 2023

RescEU 2.0: l'Europa salvata dai giovani

ROMA - Le istituzioni europee, il futuro dell’Europa e le nuove generazioni: con questa fotografia si può sintetizzare la presentazione del progetto RescEU 2.0, realizzato dalla sezione giovanile del Movimento europeo in Italia in collaborazione con la rappresentanza in Italia della Commissione Europea. La sede nazionale Acli ha ospitato i lavori ieri, 14 aprile, a partire dalle 17.

Filo conduttore dell’incontro è stato quello di illustrare le finalità del progetto, giunto alla sua seconda edizione, e dare spazio e voce ai rappresentanti di alcuni gruppi di giovani attivisti per l’Europa: Matteo Gori, segretario generale della Gioventù Federalista Europea; Luca Boccoli, co-presidente nazionale dei Giovani Europeisti Verdi; Jessi Kume per il comitato scientifico del movimento politico Possibile; Sofia Giannotti, policy coordinator di Volt Italia.

Cos’è quindi “RescEU”? Anzitutto, è un gioco di parole che, tradotto, significa “Salvare l’Unione europea”, consapevoli della sua importanza nelle nostre vite quotidiane. Perché ciò sia reso chiaro ai partecipanti, all’interno del progetto si partecipa ad una simulazione, una escape room in cui l’Ue non esiste più. Non si può più circolare senza passaporto, gli scambi e le relazioni tra gli attuali Stati membri si complicano: insomma, tutti hanno qualcosa da perdere, senza l’Unione europea. 

Molto si potrebbe aggiungere, ma è questo il senso del progetto oggi riproposto dal Movimento europeo Italia ed illustrato per l’occasione da Erasmo Mancini, ricercatore di Diritto dell'Unione europea presso la Pontificia Università Lateranense. I rappresentanti delle organizzazioni hanno avuto poi spazio per illustrare punti di vista e idee sul modo in cui continuare il cammino verso una maggiore integrazione europea, che sarà possibile se ci saranno nuove energie disposte ad accettare la sfida e continuare la strada tracciata a partire dal 1941, con il Manifesto di Ventotene. I presupposti perché ciò si verifichi esistono, anche se non bisogna cedere a facili entusiasmi: esiste anche l’euroscetticismo e, unito alla disinformazione, continua a produrre i suoi effetti.

È questo uno dei punti posti all’attenzione dal prof. Pier Virgilio Dastoli, presidente del Movimento europeo Italia. Tra i principali effetti dell’azione delle forze avverse all’Unione europea, infatti, si ha una bassa partecipazione alle elezioni europee: la si stima infatti intorno a poco più del 50%. Questo significa che quasi la metà dei cittadini non esprime alcuna forma di partecipazione – e quindi non si informa e non ha probabilmente opinioni strutturate – rispetto alla composizione del Parlamento europeo e al suo ruolo in merito ai processi decisionali di Bruxelles.

Comprendere le politiche europee non è semplice, specialmente all’inizio, ma un approccio corretto è quello che consente di cogliere l’enorme potenziale di opportunità che è in grado di giungere dalla progettazione europea. Su questo aspetto, si è soffermato Matteo Sisto, presidente di “Europiamo”, focalizzando la sua attenzione sulla necessità di formare professionisti dalle competenze adeguate nel settore, con l’obiettivo di realizzare progetti e iniziative in maniera stabile, uscendo da dinamiche emergenziali.

Nel corso del dibattito, si è colta l’occasione anche per rivolgere un augurio di buon lavoro alla sezione giovanile del Movimento europeo in Italia, costituitasi da alcuni mesi. Questo perché sono soprattutto le nuove generazioni ad avere su di sé il compito di portare a compimento un progetto di enorme valenza sociale, economica, politica e culturale, il grande cantiere ancora aperto del processo di integrazione europea.


Al di là di interventi singoli, è chiaro quindi che è necessaria oggi una maggiore mobilitazione della società; considerato il fatto che manca poco più di un anno alle prossime elezioni europee, è stato inevitabile ragionare in prospettiva rispetto a una tale scadenza. Sarà necessario un approccio inedito, se si vuole coinvolgere una maggiore fetta della popolazione. Considerato questo ambizioso obiettivo, si può dire in conclusione che RescEU 2.0 parte nel momento giusto. 



Massimiliano Nespola

sabato 1 aprile 2023

Dialoghi sull'Europa: fil rouge, i valori dell'Ue

Parole, suoni e immagini per comprendere lo stato dell’Unione: è una tradizione che si ripete ormai da sette anni, alla Sapienza. L’appuntamento con i “Dialoghi sull’Europa” – svoltisi a Roma dal 27 al 31 marzo scorsi – viene annunciato settimane prima; per l’occasione, siederanno al tavolo autorevoli docenti e personalità del mondo della cultura e del giornalismo. Gli studenti partecipano da subito con curiosità ed entusiasmo. Moltissime le domande, il clima è quello delle grandi occasioni.

Si potrebbe scrivere un ricco reportage sulle varie prospettive affrontate, ma per questo si rimanda ai testi dei docenti intervenuti ed anche al sito di “Radio Radicale”, che per l’occasione ha dato copertura a numerosi dibattiti.  Purtroppo, occuparsi su questo blog dell’intera settimana di lavori non sarebbe stato immaginabile.

Volendo scegliere un aspetto sul quale focalizzare l’attenzione, anche come fil rouge che accomuna gli interventi seguiti, c'è quello riguardante l’adesione all’Ue e ciò che ne consegue. Sappiamo che tale meccanismo prevede una fase preliminare, in cui avviene la presentazione della candidatura da parte di uno Stato. Non è detto che ne consegua immediatamente il riconoscimento dello status di paese ufficialmente candidato all’ingresso nell’Unione, ma intanto è il primo passo. Poi, man mano che lo Stato in questione compie progressi, ponendo sotto osservazione alcuni aspetti, anzitutto il rispetto dello stato di diritto, la trasparenza e la legalità all’interno delle istituzioni, ci si incammina verso l’adesione.

Basta una rapida ricerca sul web per osservare i numerosi risultati di questo processo, di un’Unione inizialmente di 6 Stati membri divenuti 28, fino al 2016 e alla Brexit, ed oggi 27. Ciò significa che in numerosi casi il processo di candidatura e adesione si è concluso con successo. Tuttavia, non sempre sono rose e fiori. Ed è stato questo uno degli aspetti centrali, ad avviso di chi scrive, e più volte trattato nel corso dei Dialoghi sull'Europa. 

Nella configurazione attuale dell’Ue, infatti, sono emersi problemi non di poco conto che interessano il processo di adesione e ciò che ne consegue. Una volta infatti che il nuovo Stato membro è entrato a far parte del “club”, diventa poi difficile attivare concretamente dei meccanismi sanzionatori.

Non è prevista l’espulsione dello Stato, nemmeno nei casi più gravi (semmai, l’articolo 50 TUE prevede la possibilità di recesso volontario. Il comma 1 recita infatti: “Ogni Stato membro può decidere, conformemente alle proprie norme costituzionali, di recedere dall'Unione” … si invita a leggere l’intero art. 50 per conoscere l’iter). È possibile attivare le procedure di infrazione, è vero, ma si tratta di procedimenti lunghi, onerosi per la stessa Commissione e dall’esito incerto. 

Spesso, inoltre, si assiste a qualcosa che assomiglia ad un ricatto dello Stato membro nei confronti del quale è attivata la procedura. Questo avviene perché sul tavolo, oltre che l’imposizione di meccanismi correttivi, ci sono anche altre questioni: il voto favorevole a determinate riforme da parte dello Stato, in seno al Consiglio, per esempio. Se si creano tensioni che durano troppo a lungo, può paralizzarsi il meccanismo decisionale che richiede l’unanimità. Ecco quindi lo scoglio, non di poco conto, al quale il processo di integrazione europea oggi si trova spesso di fronte.

Come risolvere? Anche sotto questo aspetto le proposte non mancano e non sono mancate nel corso dell'iniziativa. Anzitutto, c'è da considerare che gran parte del dibattito verte intorno alla necessità di riformare o meno i trattati. Dopo Lisbona, infatti, sono passati quindici anni sofferti, che hanno messo a dura prova l’Unione: crisi finanziaria, crisi pandemica, crisi bellica, solo per semplificare. Eppure si è riusciti a mettere in atto una serie di processi, mossi dall’intento di cooperare e intensificare l’approfondimento delle relazioni interne all’Unione. 

Il Recovery plan, il Next Generation Eu e i molti altri strumenti di cooperazione comune messi in atto con la pandemia hanno rappresentato una risposta assai vigorosa e che però oggi si trova messa di nuovo alla prova. In Italia, per esempio, si è indietro sul raggiungimento di molti obiettivi. Inoltre, la guerra in Ucraina, paese europeo anche se non membro dell’Ue, ha ridefinito drammaticamente, da oltre un anno, l’agenda delle priorità.

Probabilmente, rivedere i presupposti giuridici dell’Unione – i principi, i valori e le regole comuni che uniscono gli Stati membri – ha oggi un senso. Ma per concludere, dei molti spunti ce n’è uno che è balzato all’attenzione. Si tratta di un punto di vista singolo, ma molto autorevole. Ha affermato infatti il Prof. Sergio Fabbrini, intervenuto il 29 marzo, in occasione del dialogo dal titolo “Democrazie sotto stress. Europa. Italia. America” (clicca qui per rivedere), che il punto centrale delle sfide future dell’Unione non è tanto quello di darsi una Costituzione, che in qualche modo, dal punto di vista sostanziale anche se non formale, già c’è e si basa sul fatto che gli Stati membri costituiscono – in quanto ne sono parte attiva – l’Unione europea. 

A fondamento di una Unione che possa dissi tale, deve esserci, secondo Fabbrini, anzitutto il rispetto dei valori comuni previsti dall’articolo 2 TUE, che qui riportiamo:

“L'Unione si fonda sui valori del rispetto della dignità umana, della libertà, della democrazia, dell'uguaglianza, dello Stato di diritto e del rispetto dei diritti umani, compresi i diritti delle persone appartenenti a minoranze. Questi valori sono comuni agli Stati membri in una società caratterizzata dal pluralismo, dalla non discriminazione, dalla tolleranza, dalla giustizia, dalla solidarietà e dalla parità tra donne e uomini”.

Si potrebbe qui aprire una lunga riflessione e si potrebbe poi indagare su quanto questi valori siano nei fatti rispettati, soprattutto con riferimento ai Paesi di nuova adesione; e guardiamo anche dentro casa nostra, in Italia, chiedendoci se il nostro impegno al rispetto dell’articolo 2 sia massimo. Ci impegniamo a ritornare in futuro anche su questi aspetti; per ora vi invitiamo ad una riflessione e ad un’analisi sul tema.

 

Massimiliano Nespola

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