Sempre su impulso di Daniel Mateo Montalcini, vi proponiamo una sua riflessione riletta e rivista da Massimiliano Nespola. Il punto di vista di Montalcini e Nespola guarda oltre il conflitto, lasciando intravedere come la sconfitta di Putin sarà inevitabile.
Buona lettura
IL FALLIMENTO RUSSO ALL’ORIZZONTE
La presunta messa in scena di atti criminali sul territorio ucraino, la donna incinta additata dai russi quale attrice e – fatto ancora più grave – la strage di Bucha decritta quale fake news; ecco cosa si può arrivare ad affermare per mascherare la vera debolezza dell’armata russa, cioè l’uso indiscriminato, spietato, della forza, per non ammettere una sconfitta evidente sin dall’inizio del conflitto. Putin, in realtà incapace di instaurare una supremazia sul popolo ucraino, non può ammettere in nessun modo la disfatta che in realtà si profila all’orizzonte.
La Russia non è infatti in grado di sostenere una guerra a livello mondiale, perché le mancano mezzi economici e sostegno sufficiente per sostenerla; persegue una strategia basata anche sulle intimidazioni, con il goffo risultato di acuire il logoramento dei rapporti con il mondo.
La vittoria alle elezioni presidenziali di Zelensky, in quanto attore, testimonia che gli artisti possono anche conseguire una forte credibilità in campo politico; c’è un altro caso simile, uno dei suoi predecessori – si potrebbe dire: Ronald Reagan.
Dietro la scelta di portare un attore – che fino al giorno prima faceva ridere il suo pubblico – in politica c’è la volontà di smitizzare attraverso la sua figura il ruolo presidenziale inteso in maniera troppo rigida. Dal lato opposto, un leader come Putin vorrebbe mostrare al mondo il suo volto di nuovo Tzar, seguendo lo schema di un nuovo totalitarismo, di una strategia politica che si credeva propria ormai di tempi passati.
L’ironia usata abilmente da Zelensky quale attore gli ha consentito di riscuotere successo, perché la gente ormai si rivede in lui, anche seguendo l’idea di una leadership più sobria, riflessa nei suoi programmi apparentemente demenziali.
PUTIN SARA’ PROCESSATO
Nel corso dei secoli si è assistito – e tutt’ora accade – all’ascesa al potere di un dittatore. Uno dei principali problemi che pongono queste ingombranti figure è quello di comprendere cosa avverrà dopo la loro caduta. Chi potrà prenderne il posto? Come è avvenuto con Napoleone, i prussiani volevano fucilarlo mentre i britannici lo spedirono sull’Isola di Sant’Elena nel mezzo dell’Atlantico.
Ogni dittatura svela le proprie falle interne in base ai nuovi protagonisti che emergono dai conflitti. C’è un punto di rottura nelle dittature, infatti, che si basa proprio sulla centralizzazione di tutte le attività di comunicazione. La mancanza di comunicazione interna porta prima o poi il sistema politico corrotto, dittatoriale, ad implodere.
Già in tempi più recenti, Ceaucescu in Romania, dittatore feroce, risultato scomodo in patria, è passato per le armi il giorno di Natale del 1989, per ordine di un sedicente tribunale del popolo che lo giudicò reo di genocidio. È avvenuto un mese dopo la caduta del Muro di Berlino, che ha portato a riscrivere tutte le carte geografiche, con l’approssimarsi della fine dell’URSS guidata da Gorbaciov, nel ’91, e l’arrivo al potere in Russia, allora CSI (Comunità di Stati Indipendenti) di Boris Eltsin.
Gheddafi fu ucciso direttamente sul posto. Saddam Hussein fu impiccato di nascosto a Baghdad, una volta terminato un processo guidato dagli americani. Sul campo ucraino invece, dove si stanno avviando le indagini della Corte Penale Internazionale, si è più inclini a paragonare la situazione con quella dell’ex-Jugoslavia, in cui si ebbe l’intervento del Tribunale Speciale dell’ONU. La Serbia sostiene Putin e ha rieletto Vucic per timore di un vuoto nella leadership. Zelensky da parte sua ha intenzione di parlare alle Nazioni Unite dei crimini contro l’umanità commessi da Putin, mettendo in risalto il massacro di Bucha.
Pertanto l’Occidente assieme a Zelensky sono intenzionati a portare sul banco degli imputati Putin, benché questo piano possa apparire oggi irrealistico, per giudicarlo e sentenziarlo.
LA STORIA ACCOMUNA GLI EBREI ALL’UCRAINA
Odessa è un porto chiave in Ucraina, preso di mira da Putin per inglobarlo nell’area del Donbass, tenerlo sotto controllo russo per gestire tutti gli affari della zona; non tutti sanno che è anche un centro rilevante dell’ebraismo ucraino. La presenza ebraica, la sua cultura e i suoi legami con Israele sono sempre stati molto sentiti dagli ucraini. Kiev, per esempio, ha dato i natali a Golda Meir, Leon Pinsker morì a Odessa, Sholem Aleikem, padre dell’ebraismo Yiddish, fu uno scrittore statunitense di origine ebraico-ucraina.
Nella città di Uman, centro del pellegrinaggio ebraico del Rosh- Ha- Shana, si trova la tomba del rabbino Nachman di Breslov. Negli anni precedenti alla Shoah, vivevano in Ucraina circa 2,7 milioni di ebrei, una percentuale pari al 5% della sua popolazione, la più grande comunità ebraica d’Europa. Si stima che nel 1939 da 1 a 1,6 milioni di ebrei furono deportati e trucidati da parte della Wehrmacht, la polizia locale affiancata dai nazisti. Un episodio più che drammatico si registrò tra il 29-30 Settembre 1941, quando a Babjn Yar, nei pressi di Kiev, 33.771 Mila ebrei trovarono la morte gettati in un burrone e sepolti da parte dei nazisti e da forze ausiliarie ucraine.
Daniel Mateo Montalcini (a cura di Massimiliano Nespola, giornalista)
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