Spesso si obietta che l’Unione europea è ancora tutta da costruire. In effetti, il processo di integrazione non avverrà da un momento all’altro, ma è andato avanti in questi decenni e siamo arrivati ai settant’anni dalla Dichiarazione Schuman, dal momento in cui cioè, il 9 maggio, uno dei padri fondatori delineò il senso e le ragioni dell’unità europea, dopo due guerre mondiali e il fallimento dell’illusione di dominio nazionalista.
In occasione di tale ricorrenza, ecco una riflessione che guarda al futuro e pone l’accento su quelle che oggi sono priorità per l’Europa. Anzitutto, l’ambiente, il cosiddetto green deal europeo. La Commissione Von der Leyen considera ciò una priorità e si ritiene che, assieme alla digitalizzazione, in questi settori avverranno processi importanti, con investimenti consistenti.
Immagine tratta da: https://ec.europa.eu |
Non è una sfida facile. Ve ne parlo anche riprendendo le politiche avviate con gli impegni presi da tempo, definiti in particolar modo nella primavera 2007. Ne lasciai traccia anche sul precedente blog, “Riflessi di Europa”, che ora spesso cito per riprendere il lavoro svolto e andato perduto a causa di un’intrusione sui sistemi del mio precedente blog.
Ebbene: in quella occasione si stabilì – e già allora non mancavano gli scettici – che, in sintesi, l’Europa avrebbe dovuto: portare al 20% la quota di utilizzo di energie rinnovabili, raggiungere la quota del 10% di biocarburanti nel diesel e nel petrolio entro 2020, ridurre del 30% le emissioni di gas serra nel 2020 rispetto al 1990.
Nel febbraio scorso, l’attuale Presidente del Parlamento europeo, David Sassoli, ha rimarcato che quegli obiettivi ambiziosi non sono stati raggiunti. Non sono facili da raggiungere, soprattutto perché ci si scontra contro gli interessi delle lobby del petrolio e dei combustibili fossili, che hanno una grande capacità di influenzare le decisioni. Ho avuto modo di riscontrare che interessi simili hanno la capacità di rallentare, se non proprio arginare, la possibilità di percorrere strade diverse.
Eppure, oggi è chiaro che il concetto di sostenibilità dovrebbe essere invece tenuto in considerazione ogni volta che si effettua una scelta, perché poi gli effetti si scaricano sulla collettività. Il bilancio europeo dei prossimi anni può e deve essere ripensato anche su questi criteri: a maggior ragione perché, da più parti, si è posta all’attenzione la sua insufficienza.
Passare dall’1 attuale - ritenuto insufficiente - al 2% auspicato del contributo nazionale al bilancio europeo, poiché implica una maggiore interazione tra Stati membri e un impegno raddoppiato rispetto al passato, può innescare trasformazioni impensabili, che hanno la potenzialità di andare ben oltre il semplice raddoppio. Penso ad investimenti strategici nelle aree periferiche dell'Unione, in cui attenzione all’ambiente deve poter significare anche maggior coinvolgimento dei cittadini: vantaggi sì, quindi, ma anche più responsabilizzazione. Penso alla possibilità che si apre per categorie come anziani, bambini, che potranno così vivere in un ambiente più salubre; con l’apporto delle nuove tecnologie, l’ambiente circostante diventa poi anche più “smart”.
Insomma, parole e idee che possono cambiare l’Europa, il nostro modo di rappresentarcela mentalmente, come una dimensione che ci appartiene davvero invece che come un insieme di palazzi e rappresentanti che da Bruxelles ci dicono cosa fare: un’immagine per la verità non rispondente al vero, poiché le istituzioni europee sono presenti in concreto, sotto molte forme, nella vita di ciascuno di noi.
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