giovedì 19 maggio 2022

La strada impervia verso la Costituzione (formale) europea

In relazione all’attualità europea, si sta trattando ampiamente, sui media, il tema del posizionamento dell’Unione europea rispetto alla scottante questione della guerra. Meno attenzione sembra riservata, invece, al complesso meccanismo di funzionamento delle istituzioni europee, in vista di orizzonti futuri nella direzione di una maggiore integrazione. Con le crisi di questi ultimi anni, infatti, si è assistito ad un netto cambio di scenario e si percepisce, oggi più di ieri, l’esigenza che gli Stati membri rispondano uniti alle avversità.

Come potrete notare, tra le fonti menzionate da questo blog vi è la newsletter del Movimento Europeo in Italia. Costituito nel 1948, riveste tuttora un ruolo protagonista sia per la comprensione che per l’impostazione dei meccanismi di funzionamento dell’Unione europea. Tra i temi recentemente trattati nell’ultima newsletter, ve n’è uno di grande importanza, a cui è dedicato l’editoriale: quello cioè della riforma dei trattati e di quale dovrebbe essere il metodo per portare a termine con successo questo complesso lavoro.

Si ricorda che il Trattato vigente dal 2009 è quello di Lisbona – stipulato dopo il rigetto, in Francia e Olanda, del Trattato che adotta una Costituzione per l’Europa e ritenuto un risultato di compromesso rispetto al più ambizioso progetto di sancire l’entrata in vigore di una costituzione formale europea. Oggi, rispetto a tredici anni fa, si ritiene che sia ormai giunto il tempo di un riassetto istituzionale.

Il recente editoriale del Movimento Europeo che vi invitiamo a leggere, porta all’attenzione una serie di spunti di un certo interesse. Leggendo le prime righe, si apprende che l’Unione europea è definita come “organizzazione sui generis in cui convivono l’europeismo dei padri fondatori, il confederalismo di chi crede dentro e fuori l’Unione all’Europa delle tante patrie e il federalismo pragmatico degli autori del Manifesto di Ventotene”. Ecco quindi che si pone un primo punto interrogativo: il confederalismo rappresenta un freno rispetto alla possibilità di proseguire il cammino dell’Unione europea?

In realtà, il presidente del Movimento Europeo, prof. Pier Virgilio Dastoli, chiarisce che “Il Consiglio europeo è il rappresentante classico della dimensione confederale, non solo i sovranisti. Dal 2009 ad oggi, esso si è arrogato una serie di diritti non previsti dal Trattato”. Si può quindi essere orientati per una posizione confederale senza essere necessariamente sovranisti. Ciò però comporta alcuni problemi rispetto alla possibilità  di arrivare ad una sovranità europea. Chiarisce ulteriormente Dastoli, in merito a ciò, che “Le competenze dell’Unione sono stabilite dai governi. L’Unione continua ad essere una Unione di Stati”. E questo approccio indebolisce la prospettiva di una Unione evoluta verso la dimensione autenticamente europeista.

La lettura dell’editoriale pone all’attenzione anche un altro interessante aspetto: qual è il ruolo della comunicazione giornalistica rispetto al processo di integrazione europea? In relazione a ciò, è nota l’esistenza di un gap tra ciò che si decide nelle sedi istituzionali europee e il messaggio che passa ai cittadini. Continua Dastoli: “Purtroppo l’informazione circola, ma spesso non è corretta. Inoltre, spesso i leader dei vari Stati tendono ad attribuire a sé i successi e a Bruxelles gli insuccessi delle proprie politiche: quando le cose vanno bene, il merito è loro, quando vanno male, è colpa di Bruxelles. Rispetto a ciò, i leader più europeisti dovrebbero invece porre all’attenzione il valore aggiunto dell’integrazione europea, ma questo avviene assai di rado”.

Altro punto di interesse posto all’attenzione dall’editoriale del Movimento Europeo: “non sarà sufficiente modificare il Trattato lasciando sostanzialmente invariato il suo impianto originario”, si afferma. Rispetto a questo problema, sorge un ulteriore interrogativo: esiste una corrente di pensiero secondo cui esiste già, in qualche modo, già una Costituzione materiale, poiché esistono istituzioni europee che, ispirandosi alle logiche di funzionamento delle principali democrazie, prendono decisioni che producono effetti valevoli in tutti gli Stati membri. Secondo Dastoli, tuttavia, c’è un difetto: “Vi sono una serie di materie che, per arrivare a decisioni efficaci, dovrebbero diventare di competenza dell’Unione e che invece restano nelle mani degli Stati membri. Intanto, non c’è ancora un testo costituzionale europeo nel quale i cittadini si riconoscano, come avviene invece per la Costituzione italiana; difficile che si riconoscano nel Trattato di Lisbona, data la sua complessità. La Costituzione europea nata dal progetto di Giscard era un testo più semplice, ma poi non è stato ratificato. Bisognerebbe oggi riscrivere il Trattato di Lisbona separando la parte del diritto primario, di rango costituente, dalla parte delle politiche, che è diritto secondario. I governi hanno creato molta confusione rispetto a questo passaggio. È vero che esiste una Costituzione materiale, ma bisogna, come afferma Habermas, che i cittadini sentano una sorta di patriottismo costituzionale, che si identifichino in una Costituzione europea che oggi formalmente non esiste”.

Un ulteriore punto di interesse dell’editoriale del Movimento Europeo è quello in cui si afferma che è oggi necessario “rivedere le categorie e le competenze dell’Unione alla luce delle sfide interne ed esterne con una visione dinamica del principio di sussidiarietà e nella logica federale dei rapporti fra l’Unione e gli Stati membri nell’ambito delle competenze cosiddette concorrenti”. In merito a ciò, nasce un altro interrogativo: che cosa si intende per “visione dinamica del principio di sussidiarietà”?

Risponde Dastoli: “Mentre nel Trattato di Lisbona si propende per un concetto di vicinanza delle istituzioni ai cittadini inteso in senso geografico, secondo cui le decisioni si prendono là dove c’è maggiore vicinanza ai cittadini, le decisioni vanno invece prese là dove è più efficace prenderle. In materia di energia, salute, industria, politica estera, se è più efficace decidere a livello europeo, è opportuno che sia questo il livello decisionale. Nel progetto Spinelli del 1984 era già presente tale assunto: si prevedeva che vi fossero competenze concorrenti e, nel momento in cui l’Unione europea interveniva in una di esse, attraverso procedure molto vincolanti, tutta quella competenza diventava esclusiva dell’Unione. Naturalmente, questo passaggio ha necessità di essere realizzato attraverso una legge organica e delle maggioranze speciali. Nel Trattato di Lisbona, invece, nel momento in cui l’Unione interviene in un settore specifico, è solo in quell'ambito ristretto che lo Stato non può più legiferare, ma le competenze non possono essere estese come immaginato dal progetto Spinelli”.

Le conclusioni dell’editoriale del Movimento Europeo delineano una prospettiva di breve e medio termine, che guarda a tutto l’anno prossimo. Infatti, si afferma che “Al termine di quest’esercizio di cittadinanza attiva deliberativa che potrebbe concludersi nell’autunno 2023, spetterà al Parlamento europeo promuovere un incontro con i parlamenti nazionali e le assemblee regionali con poteri legislativi nel quadro di “assise della democrazia rappresentativa” al fine di preparare il terreno per una processo costituente di un’Europa sovrana, democratica, solidale ed inclusiva”. Ecco quindi emergere un ulteriore interrogativo: al termine di questa riflessione, si può essere più o meno ottimisti nella situazione attuale, guardando al passato prossimo e a quello remoto?

Risponde Dastoli: “Che i governi possano trovare un accordo per convocare una Convenzione finalizzata alla riforma dei Trattati è abbastanza complicato. Dobbiamo invece lavorare con l’obiettivo che il Parlamento che sarà eletto nel 2024 possa avere un ruolo costituente. È più difficile, comunque, cambiare i trattati attraverso una conferenza intergovernativa che attraverso il ruolo costituente del Parlamento europeo. Nel primo caso, infatti, prevale la linea secondo cui ciascuno, tra chi siede attorno al tavolo, rappresenta un interesse nazionale. È chiaro che così diventa difficile mettersi d’accordo e raggiungere l’unanimità. Attraverso il metodo costituente, invece, chi siede attorno al tavolo rappresenta una propria visione dell’interesse europeo, ciascuno dalla prospettiva della propria formazione politica, ma in vista di interessi comuni a tutti i cittadini europei ”.

Quale dovrebbe essere quindi il metodo per avviare un tale processo? Si dovrebbe partire da una risoluzione comune in occasione di una sessione plenaria, che poi sfoci in un iter che coinvolga anche il Consiglio?

Nel 1984, in occasione dei lavori per il progetto Spinelli, lavorammo per due anni, al Parlamento europeo, all’interno della allora Commissione Affari istituzionali (oggi Affari costituzionali, ndr). Non sarebbe certo bastata una risoluzione in seduta plenaria, ma fu necessario un  lavoro di concerto con i giuristi, attraverso numerose audizioni. Dopodiché, una volta approvato dal Parlamento, il Trattato, in base alla Convenzione di Vienna, poteva essere approvato direttamente dai Parlamenti nazionali senza essere sottoposto al giudizio dei governi nazionali. Avevamo anche deciso di visitare i vari parlamenti nazionali, anche se in realtà fu possibile raggiungere solo quello tedesco, quello belga e quello italiano, favorevoli al progetto Spinelli. Si arrivò poi alla scadenza delle elezioni europee e non fu possibile recarsi in tutti gli altri parlamenti. L’idea rimane la stessa: che il Parlamento europeo si coordini con i parlamenti nazionali, anche seguendo il metodo delle assise interparlamentari, come quelle che si svolsero a Roma a novembre del 1990. I parlamenti quindi, se hanno delle proposte di modifica, le possono discutere per poi arrivare ad un testo finale, che, in base alla Convenzione di Vienna, possono ratificare senza passare per i governi.  E questo è il metodo preferibile per riformare l’Unione europea”.

 

Massimiliano Nespola

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