In relazione all’attualità europea, si sta trattando ampiamente, sui media, il tema del posizionamento dell’Unione europea rispetto alla scottante questione della guerra. Meno attenzione sembra riservata, invece, al complesso meccanismo di funzionamento delle istituzioni europee, in vista di orizzonti futuri nella direzione di una maggiore integrazione. Con le crisi di questi ultimi anni, infatti, si è assistito ad un netto cambio di scenario e si percepisce, oggi più di ieri, l’esigenza che gli Stati membri rispondano uniti alle avversità.
Come potrete notare, tra le fonti
menzionate da questo blog vi è la newsletter
del Movimento Europeo in Italia.
Costituito nel 1948, riveste tuttora un ruolo protagonista sia per la
comprensione che per l’impostazione dei meccanismi di funzionamento dell’Unione
europea. Tra i temi recentemente trattati nell’ultima newsletter, ve n’è uno di
grande importanza, a cui è dedicato l’editoriale: quello cioè della riforma dei
trattati e di quale dovrebbe essere il metodo per portare a termine con
successo questo complesso lavoro.
Si ricorda che il Trattato vigente dal 2009 è quello di
Lisbona – stipulato dopo il rigetto, in Francia e Olanda, del Trattato che
adotta una Costituzione per l’Europa e ritenuto un risultato di compromesso
rispetto al più ambizioso progetto di sancire l’entrata in vigore di una
costituzione formale europea. Oggi, rispetto a tredici anni fa, si ritiene che
sia ormai giunto il tempo di un riassetto istituzionale.
Il recente editoriale del Movimento Europeo che vi invitiamo a leggere, porta all’attenzione una
serie di spunti di un certo interesse. Leggendo le prime righe, si apprende che
l’Unione europea è definita come “organizzazione sui generis in cui convivono l’europeismo dei
padri fondatori, il confederalismo di chi crede dentro e fuori
l’Unione all’Europa delle tante patrie e il federalismo
pragmatico degli autori del Manifesto di Ventotene”.
Ecco quindi che si pone un primo punto interrogativo: il confederalismo rappresenta un freno rispetto alla possibilità di
proseguire il cammino dell’Unione europea?
In realtà, il presidente del Movimento Europeo, prof. Pier
Virgilio Dastoli, chiarisce che “Il
Consiglio europeo è il rappresentante classico della dimensione confederale,
non solo i sovranisti. Dal 2009 ad oggi, esso si è arrogato una serie di
diritti non previsti dal Trattato”. Si può quindi essere orientati per una
posizione confederale senza essere necessariamente sovranisti. Ciò però
comporta alcuni problemi rispetto alla possibilità di arrivare ad una sovranità europea.
Chiarisce ulteriormente Dastoli, in merito a ciò, che “Le competenze dell’Unione sono stabilite dai governi. L’Unione continua
ad essere una Unione di Stati”. E questo approccio indebolisce la
prospettiva di una Unione evoluta verso la dimensione autenticamente
europeista.
La lettura dell’editoriale pone
all’attenzione anche un altro interessante aspetto: qual è il ruolo della comunicazione giornalistica rispetto al processo
di integrazione europea? In relazione a ciò, è nota l’esistenza di un gap tra ciò che si decide nelle sedi
istituzionali europee e il messaggio che passa ai cittadini. Continua Dastoli: “Purtroppo l’informazione circola, ma spesso
non è corretta. Inoltre, spesso i leader dei vari Stati tendono ad attribuire a
sé i successi e a Bruxelles gli insuccessi delle proprie politiche: quando le
cose vanno bene, il merito è loro, quando vanno male, è colpa di Bruxelles.
Rispetto a ciò, i leader più europeisti dovrebbero invece porre all’attenzione
il valore aggiunto dell’integrazione europea, ma questo avviene assai di rado”.
Altro punto di interesse posto
all’attenzione dall’editoriale del Movimento Europeo: “non sarà sufficiente modificare il Trattato lasciando sostanzialmente
invariato il suo impianto originario”, si afferma. Rispetto a questo
problema, sorge un ulteriore interrogativo: esiste una corrente di pensiero secondo cui esiste già, in qualche modo, già
una Costituzione materiale, poiché
esistono istituzioni europee che, ispirandosi alle logiche di funzionamento
delle principali democrazie, prendono decisioni che producono effetti valevoli
in tutti gli Stati membri. Secondo
Dastoli, tuttavia, c’è un difetto: “Vi
sono una serie di materie che, per arrivare a decisioni efficaci, dovrebbero
diventare di competenza dell’Unione e che invece restano nelle mani degli Stati
membri. Intanto, non c’è ancora un
testo costituzionale europeo nel quale i cittadini si riconoscano, come avviene
invece per la Costituzione italiana; difficile che si riconoscano nel Trattato
di Lisbona, data la sua complessità. La Costituzione europea nata dal progetto
di Giscard era un testo più semplice, ma poi non è stato ratificato.
Bisognerebbe oggi riscrivere il Trattato di Lisbona separando la parte del
diritto primario, di rango costituente, dalla parte delle politiche, che è
diritto secondario. I governi hanno creato molta confusione rispetto a questo
passaggio. È vero che esiste una Costituzione materiale, ma bisogna, come
afferma Habermas, che i cittadini sentano una sorta di patriottismo
costituzionale, che si identifichino in una Costituzione europea che oggi
formalmente non esiste”.
Un ulteriore punto di interesse dell’editoriale del Movimento Europeo è
quello in cui si afferma che è oggi necessario “rivedere le categorie e le competenze dell’Unione alla luce delle sfide
interne ed esterne con una visione dinamica del principio di sussidiarietà e
nella logica federale dei rapporti fra l’Unione e gli Stati membri nell’ambito
delle competenze cosiddette concorrenti”. In merito a ciò, nasce un
altro interrogativo: che cosa si intende per “visione dinamica del principio di sussidiarietà”?
Risponde Dastoli: “Mentre nel Trattato di Lisbona si propende
per un concetto di vicinanza delle istituzioni ai cittadini inteso in senso
geografico, secondo cui le decisioni si prendono là dove c’è maggiore vicinanza
ai cittadini, le decisioni vanno invece prese là dove è più efficace prenderle.
In materia di energia, salute, industria, politica estera, se è più efficace
decidere a livello europeo, è opportuno che sia questo il livello decisionale.
Nel progetto Spinelli del 1984 era già presente tale assunto: si prevedeva che
vi fossero competenze concorrenti e, nel momento in cui l’Unione europea
interveniva in una di esse, attraverso procedure molto vincolanti, tutta quella
competenza diventava esclusiva dell’Unione. Naturalmente, questo passaggio ha
necessità di essere realizzato attraverso una legge organica e delle
maggioranze speciali. Nel Trattato di Lisbona, invece, nel momento in cui
l’Unione interviene in un settore specifico, è solo in quell'ambito ristretto che lo Stato non può più legiferare, ma le competenze non possono essere estese
come immaginato dal progetto Spinelli”.
Le
conclusioni dell’editoriale del Movimento Europeo delineano una prospettiva di
breve e medio termine, che guarda a tutto l’anno prossimo. Infatti, si afferma
che “Al termine di quest’esercizio di
cittadinanza attiva deliberativa che potrebbe concludersi nell’autunno 2023,
spetterà al Parlamento europeo promuovere un incontro con i parlamenti
nazionali e le assemblee regionali con poteri legislativi nel quadro di “assise della
democrazia rappresentativa” al fine di preparare il terreno per
una processo
costituente di un’Europa sovrana, democratica, solidale ed
inclusiva”. Ecco quindi emergere un ulteriore interrogativo: al termine di questa riflessione, si può
essere più o meno ottimisti nella situazione attuale, guardando al passato
prossimo e a quello remoto?
Risponde
Dastoli: “Che i governi possano trovare
un accordo per convocare una Convenzione finalizzata alla riforma dei Trattati
è abbastanza complicato. Dobbiamo invece lavorare con l’obiettivo che il
Parlamento che sarà eletto nel 2024 possa avere un ruolo costituente. È più
difficile, comunque, cambiare i trattati attraverso una conferenza
intergovernativa che attraverso il ruolo costituente del Parlamento europeo.
Nel primo caso, infatti, prevale la linea secondo cui ciascuno, tra chi siede
attorno al tavolo, rappresenta un interesse nazionale. È chiaro che così diventa
difficile mettersi d’accordo e raggiungere l’unanimità. Attraverso il metodo
costituente, invece, chi siede attorno al tavolo rappresenta una propria
visione dell’interesse europeo, ciascuno dalla prospettiva della propria
formazione politica, ma in vista di interessi comuni a tutti i cittadini
europei ”.
Quale dovrebbe essere quindi il metodo per avviare un tale processo? Si
dovrebbe partire da una risoluzione comune in occasione di una sessione
plenaria, che poi sfoci in un iter che coinvolga anche il Consiglio?
“Nel 1984, in occasione dei lavori per il
progetto Spinelli, lavorammo per due anni, al Parlamento europeo, all’interno
della allora Commissione Affari istituzionali (oggi Affari costituzionali,
ndr). Non sarebbe certo bastata una risoluzione in seduta plenaria, ma fu
necessario un lavoro di concerto con i
giuristi, attraverso numerose audizioni. Dopodiché, una volta approvato dal
Parlamento, il Trattato, in base alla Convenzione
di Vienna, poteva essere approvato direttamente dai Parlamenti nazionali
senza essere sottoposto al giudizio dei governi nazionali. Avevamo anche deciso
di visitare i vari parlamenti nazionali, anche se in realtà fu possibile
raggiungere solo quello tedesco, quello belga e quello italiano, favorevoli al
progetto Spinelli. Si arrivò poi alla scadenza delle elezioni europee e non fu
possibile recarsi in tutti gli altri parlamenti. L’idea rimane la stessa: che
il Parlamento europeo si coordini con i parlamenti nazionali, anche seguendo il
metodo delle assise interparlamentari, come quelle che si svolsero a Roma a
novembre del 1990. I parlamenti quindi, se hanno delle proposte di modifica, le
possono discutere per poi arrivare ad un testo finale, che, in base alla
Convenzione di Vienna, possono ratificare senza passare per i governi. E questo è il metodo preferibile per
riformare l’Unione europea”.
Massimiliano
Nespola
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