mercoledì 14 settembre 2022

Verso la Costituzione europea

Si riporta un interessante spunto a firma di Pier Virgilio Dastoli, Giuseppe Bronzini e Giulio Saputo, rispettivamente Presidente, Segretario generale e Segretario generale aggiunto del Movimento Europeo in Italia.

Questa presa di posizione illustra quale dovrebbe essere un approccio corretto al tema del processo di integrazione europea. L'Unione europea vede infatti la necessità di far ripartire il cantiere del Trattati, aperto a tutti i cittadini, nella prospettiva costituente.

Buona lettura



La fine della “pacchia”, il confederalismo e il federalismo 


La “pacchia”, che in italiano ha una connotazione negativa, si traduce nelle maggiori lingue europee in un “dono del cielo” o “di Dio” e potrebbe esprimersi positivamente in una situazione di “abbondanza materiale e di assenza di preoccupazioni”. 

La “pacchia” è finita nell’Unione europea (Ue) da quindici anni e la fine della abbondanza materiale e della assenza di preoccupazioni

- è iniziata con la crisi finanziaria del 2007

-2008 con un grave approfondimento delle diseguaglianze fra le regioni e le classi sociali,

- è proseguita con il terrorismo internazionale sviluppatosi all’interno dei confini dell’Ue, 

- è continuata con l’aumento dei flussi migratori “economici” o di richiedenti asilo, - si è aggravata con le conseguenze di sciagurate e reiterate politiche che hanno inquinato l’acqua, l’aria e la terra, 

- si è materializzata con l’assenza di autonomia strategica dell’Ue di fronte alla fine del multipolarismo 

- è diventata drammatica con la pandemia

- e ha infine sconvolto gli equilibri mondiali con l’aggressione della Russia all’Ucraina. 


La differenza fra le soluzioni europee adottate per rispondere alle scarsità materiali e all’aumento delle preoccupazioni non è ideologica e cioè legata ad una ipotetica contrapposizione teorica fra un metodo di decisione (o di “non decisione”) prevalentemente confederale o dei meccanismi di analisi dei problemi, di proposta, di decisione e di esecuzioni sovranazionali o prevalentemente federali ma maledettamente concreta se si approfondisce il modo in cui l’Ue ha reagito o è stata incapace di reagire di fronte alle sette sfide che abbiamo qui sopra sintetizzato. 

Chi guarda all’Europa con le lenti confederali danneggia gli interessi nazionali perché solo con l’Ue possiamo rispondere alle sfide sovrannazionali che abbiamo davanti. 

La pandemia e la guerra ai confini dell’Ue hanno messo in evidenza che le soluzioni – pur frammentarie e temporanee – possono essere trovate quando c’è coincidenza fra interessi nazionali ed interesse europeo e che le soluzioni non vengono trovate se ci si affida alla contrapposizione fra gli uni e l’altro lasciando prevalere il “potere” (che non è un “diritto”) di veto o perché le regole del Trattato hanno mantenuto il voto all’unanimità o perché il Consiglio decide di non decidere anche se il Trattato prevede una decisione a maggioranza qualificata o perché non si raggiunge tale maggioranza nel “combinato disposto” del voto degli Stati e delle popolazioni rappresentate. 

L’esempio più recente è quello della decisione sul cosiddetto price cap in cui l’interesse italiano a adottare questa misura coincideva con l’interesse europeo ma la decisione è sospesa per la difesa nel Consiglio di apparenti interessi nazionali che impediscono il raggiungimento della maggioranza qualificata. 

Le misure adottate per far fronte alle conseguenze economiche e sociali della pandemia (prima il meccanismo SURE di risposta alla disoccupazione e poi il piano – che non è un fondo – denominato Next Generation EU che ha attribuito all’Italia oltre duecento miliardi di euro fra prestiti e sovvenzioni) sono state il frutto di un meccanismo sovranazionale fondato sull’analisi dei problemi, su proposte della Commissione europea facilitate dal sostegno politico di alcuni governi che hanno fatto prevalere l’interesse europeo su quelli apparentemente nazionali, su decisioni “comunitarie” e su procedure di esecuzione fondate su regole adottate di comune accordo e sottoposte a puntuali verifiche europee. 

In questo quadro rientrano le condizioni per il rispetto dello stato di diritto fondate su un interesse europeo che hanno bloccato la concessione di finanziamenti all’Ungheria e inizialmente anche alla Polonia su cui pende una decisione della Corte di Giustizia e l’esigenza di avviare e dare piena esecuzione a riforme a livello nazionale indispensabili per rendere l’economia dei paesi europei più “resiliente” e che rende giustamente impossibile l’apertura di un nuovo negoziato sui PNRR, una esigenza accolta sulla base di regole adottate di comune accordo nel Consiglio in “codecisione” con un’ampia maggioranza nel Parlamento europeo (Pe) e con il consenso dei parlamenti nazionali.

Tutto questo sistema è fondato sul principio “esistenziale” dell’Ue della “cooperazione leale” che non può né deve essere messo in discussione nel caso in cui cambino le maggioranze o i governi in un paese membro e dal primato del diritto europeo nei settori di competenza dell’Ue. 

Per riacquistare almeno una parte della “pacchia” che abbiamo progressivamente perduto negli ultimi quindici anni – nel rigoroso rispetto degli obiettivi dello “sviluppo sostenibile” – e cioè per garantire i beni pubblici “materiali” comuni e per ridurre le preoccupazioni, la via italiana non è certamente quella di contrapporre apparenti interessi nazionali all’interesse europeo ma rafforzare la dimensione sovranazionale secondo un modello federale riconoscendo alla Commissione (il “governo europeo” in statu nascendi) il ruolo di analisi e di proposta, al Consiglio e al Pe il potere di decidere superando nel Consiglio il vincolo dell’unanimità o del potere di non-decidere, tornando al ruolo della Commissione per eseguire le decisioni o controllare il rispetto delle decisioni da parte degli Stati membri.

Sappiamo che tutto il sistema comunitario – che è un ibrido o un coacervo, che le opinioni pubbliche comprendono difficilmente, fra confederalismo e federalismo e le cui debolezze vengono spesso attribuite alla dimensione europea al cui interno prevarrebbero i “banchieri” e i “burocrati” portando acqua ai mulini del sovranismo nazionalista – ha difetti di frammentazione e di provvisorietà e che, pur attuando quel che è possibile attuare a trattato costante per rispondere alle emergenze e rafforzando il bilancio europeo in particolare attraverso vere e proprie risorse proprie, è sempre più necessario avviare un processo “costituente” per andare al di là del Trattato di Lisbona firmato nel 2007 prima che l’Ue entrasse nel vortice crescente delle sette crisi che abbiamo più sopra sintetizzato. 

Per questa ragione noi siamo convinti che la via italiana nell’Ue deve passare dalla coerenza e coesione fra interessi nazionali e interesse europeo scegliendo la dimensione realistica della dimensione federale in alternativa alla mancanza di realismo della dimensione confederale e costruendo nell’Ue le alleanze necessarie fra i governi, nel PE, nella società civile e nel rafforzamento della democrazia rappresentativa, partecipativa e di prossimità in vista delle elezioni europee nel maggio 2024. 


Pier Virgilio Dastoli, Presidente del Movimento Europeo in Italia 

Giuseppe Bronzini, Segretario generale del Movimento Europeo in Italia 

Giulio Saputo, Segretario generale aggiunto del Movimento Europeo in Italia 

    

Milano, Roma, 12 settembre 2022





martedì 13 settembre 2022

La Russia neozarista: dalla Storia all'oggi

Riportiamo alcuni spunti in ordine sparso di Daniel Mateo Montalcini. Il tema è come sempre quello del conflitto russo - ucraino, con un'analisi concentrata sulla storia politica di quello che fu l'impero russo, che oggi Vladimir Putin vorrebbe riportare in auge con la terribile campagna militare in corso.

Editing di Massimiliano Nespola


LA FINE DI UN IMPERO


Pochi giorni sono trascorsi dall‘ultimo saluto a Gorbachev, padre della Perestroika, nonché ultimo presidente di quello che fu l’Unione Sovietica, lentamente disfattasi dopo il crollo del Muro di Berlino il 9 Novembre 1989 e la fine ufficiale dell’URSS sancito da Eltsin, che divenne successivamente presidente della Russia. La Perestroika, ad ogni modo, annunciava quello che poi avvenne, perché il tempo corre ed i cambiamenti ne fanno seguito.

È stata l’agenzia di stampa Tass a rilasciare la notizia descrivendo che Gorbachev è venuto a mancare dopo una grave e lunga malattia, presso il Central Clinical Hospital dove era ricoverato. Gorbachev è stato sepolto nella tomba di famiglia, a fianco della moglie Raissa. Eletto presidente dal 1985 fino al 1991, quando fu deposto da Boris Eltsin stesso, ebbe il merito di porre fine alla Guerra Fredda tra Gli USA e l’URSS che coinvolgeva Cuba, da sempre politicamente affiliata al filone politico comunista sovietico, ma situata non distante dalle coste americane.

Le lunghe trattative tenutesi tra lui e l’allora attore, divenuto poi presidente USA Ronald Regan, con la rilevante intermediazione esercitata dal Pugno di Ferro Thatcher, Premier Britannico, e - fatto da non escludere - dall’influenza del Papa Polacco Woytila, Giovanni Paolo II, tramite la Perestroika e la Glasnost, permisero la fine di tali scontri, per cui Gorbachev ottenne nel 1990 il Premio Nobel per la pace.

La Perestroika intendeva per l’appunto dare una sterzata alla dittatura ed alle restrizioni sovietiche e con il Glasnost si intendeva inoltre introdurre il principio della trasparenza, con tutto ciò che esso implica, nel dibattito politico e nella società civile dell’Unione Sovietica. Nella pratica la Perestroika, ossia la ristrutturazione del Paese, portò l’Unione Sovietica ad implodere su se stessa.

Da un lato si assisteva alla democratizzazione dell’URSS internamente, ma d’altro canto le riforme economiche non seguivano tale percorso. L’elemento chiave che fece crollare ufficialmente l’impero sovietico fu il tentativo di Golpe nel ‘91 da parte della frangia comunista più conservatrice e refrattaria al cambiamento che inesorabilmente si stava verificando. Il tentato colpo di stato ad ogni modo fallì, benché Gorbachev fu sequestrato per tre giorni e tenuto in Crimea. Tutti questi fattori servirono per aprire le porte concretamente alla crisi politica scoppiata l’8 Dicembre 1991, quando Gorbachev dovette firmare con la Bielorussia e l’Ucraina la nascita della CSI, Comunità di Stati Indipendenti. Questo elemento sancì la fine dell’URSS.

Gorbachev, ormai sfiduciato da tutto il Governo, persino dall’ala a lui più vicina, fu costretto a dimettersi, lasciando spazio all’arrivo e alla salita alla presidenza di Yeltsin. Il passaggio di consegne avvenne, per ironia della sorte, proprio il giorno di Natale del 1991. Con questa breve digressione, vogliamo parlare della Russia lasciando intendere come il processo di modernizzazione auspicato si sia infranto contro il muro rappresentato da una tradizione storica, politica e sociale del Paese difficilmente scalfibile.


LA MUSICA COME STRUMENTO DI PACE


Ma ritorniamo ad oggi. Nel prosieguo dei dialoghi e delle manovre politiche per cercare di affievolire le tensioni geopolitiche in Ucraina, tra i vari artisti ed intellettuali si è appreso che tramite il noto social network Facebook, Roger Water, storico leader dei Pynk Floyd, è intervenuto dialogando con la moglie di Zelensky, criticando la fornitura delle armi dall’Occidente a favore dell’Ucraina.

A questo proposito, Zelensky ha prontamente risposto accusando la Russia di aver lanciato per prima l’aggressione contro l’Ucraina. Pertanto, il Paese si vede costretto a difendere i propri confini e territori ed i propri cittadini, per poter assicurare un futuro ai più giovani. Se gli ucraini non reagissero, a dire di Zelensky, il Paese non esisterebbe più. La Guerra potrà terminare quando la Russia rinuncerà a proseguire con gli attacchi e le invasioni e le strumentalizzazioni dialettiche. Il cantante da parte sua ha ribattuto che la pace è possibile raggiungerla dialogando ed accordandosi con il presidente di un altro Paese.


LA CADUTA DI PUTIN

Il ricatto di Putin sulle forniture del gas non è altro che una strategia politica per nascondere le difficoltà che lo zar russo deve affrontare. Il 7 settembre scorso, Putin ha dovuto ammettere suo malgrado che a Vladivostok non pochi settori produttivi, regioni e non da meno imprese della Federazione russa, devono far fronte a varie problematiche legate alle forniture ed esportazioni da e per l’Europa.

Mosca deve far fronte a problemi di vulnerabilità che starebbero provocando attualmente un nuovo stallo nella guerra, nella previsione sempre più certa della sconfitta delle truppe russe. Ciononostante bisogna prestare attenzione ed analizzare un possibile disfatta con profonda lucidità di analisi, in quanto il vantaggio tattico rimane ancora nelle mani russe ed il logoramento di fronte ad una lenta ed inevitabile sconfitta può purtroppo durare per tempi incalcolabili.



THE WIND OF CHANGE

Osserviamo come nel corso dei tempi recenti e passati tutto può cambiare in un istante. Dal principio dell’avanzata russa in territorio ucraino, sembrava come se le truppe di Putin avessero già ottenuto la vittoria soprattutto sui territori del Donbass, ove si presentano tutt’ora molti nostalgici della ex URSS. Tuttavia, la determinazione ucraina e del presidente Zelensky con il supporto internazionale occidentale, non ha consegnato la vittoria nelle mani sovietiche.

La controffensiva ucraina ha liberato la città di Kupiansk, situata nella parte orientale del Paese, occupata dai russi il 27 Febbraio, giusto tre giorni dopo l’inizio dell’invasione. Le truppe ucraine sono entrate perfino a Izyum, dopo aver costretto le truppe russe al ritiro dopo oltre 5 mesi. Il ritiro russo è un duro colpo per Putin in quanto Kupiansk si trova giusto sul percorso di rifornimento della linea del fronte del Donbass.

Le perdite accusate dai russi sono state gravi sul fronte dei civili, con morti, feriti e perdite militari sulle due città di Schevchenkovo e Balaklyia. Si tratta pertanto della prima ammissione di difficoltà concrete dei russi. Dal Cremlino giungono fonti che cercano di minimizzare la sconfitta, sostenendo che le truppe si starebbero riorganizzando nei pressi di Balanklya e Izyum, nella regione di Kharkiv, con lo scopo a quanto pare strumentale di aumentare gli sforzi di Donetsk per liberare definitivamente il Donbass.



Daniel Mateo Montalcini – a cura di Massimiliano Nespola

venerdì 2 settembre 2022

La strategia russa votata al fallimento

Si può osservare come la Russia pare che stia facendo di tutto per isolarsi maggiormente. Il Kazakistan, che a gennaio aveva chiesto supporto a Putin per sedare proteste causate in particolare da ragioni economiche, si è visto da un giorno all'altro, senza nessun preavviso, voltare le spalle del leader russo, che ha ordinato di ritirare le truppe dal Paese.

L’arrivo delle truppe russe in Kazakistan, supportate da quelle bielorusse, aveva portato a un ampio spargimento di sangue, per poi vedere la crisi kazaka tornare alla normalità. Il loro ritiro ha lasciato sbigottiti i cittadini kazaki. Per ironia della sorte, esso anticipava la successiva invasione russa dell'Ucraina.

Tokaev, presidente kazako, ricorda con spavento l’arrivo delle truppe russe nel suo Paese, come si è anche verificato, due mesi dopo, altrove. A seguito di ciò, Tokaev si è recato a Baku - in Azerbaigian - dove ha incontrato il presidente Aliyev: i due si sono parlati appositamente in azero ed in kazako, pur sapendo perfettamente il russo, lingua solitamente usata, per dare un forte segnale di distacco da Mosca. 

I due presidenti hanno toccato varie tematiche, firmando trenta documenti per sancire accordi economici, soprattutto legati alla possibilità di vendere - da parte di Tokaev - parte del suo petrolio attraverso l’Azerbaijan all’Europa, a partire da settembre, aggirando le minacce russe che vedrebbero altrimenti chiudere la rotta che parte dai giacimenti petroliferi del Kazakistan, rotta che equivale all’incirca all’1% delle forniture mondiali.

 

Daniel Mateo Montalcini – a cura di Massimiliano Nespola


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giovedì 1 settembre 2022

La storia di Darya Dugina

L’uccisione di Darya Dygina, nientemeno che la figlia del filosofo ultranazionalista Alexander Dugin, è paragonabile a un thriller di Robert Redford e Brad Pitt, o di un James Bond dei migliori tempi, con protagonista il sempre ricordato Sean Connery. Le ultime indiscrezioni parlano dell’intervento di un secondo cittadino ucraino coinvolto nell’omicidio, a dire della cronaca anch’egli agente dei servizi segreti di Kiev. L’Fsb, i servizi segreti russi, hanno dichiarato di aver identificato un secondo cittadino di provenienza Ucraina il quale senza ombra di dubbio pare direttamente coinvolto con l’uccisione di Darya Dugina.

Il presunto omicida avrebbe il nome di Bodan Petrovich Tsyganenko, che, secondo le indagini, sembra aver collaborato con tale Natalya Vovk. Quest’ultima risulta colpevole dell’omicidio della Dugina, avendo azionato la bomba nell’auto nella quale Darya è esplosa;  successivamente, pare essersi dileguata in Estonia. Tsyganenko sarebbe invece entrato in Russia giungendovi, guarda caso, proprio dall’Estonia.

Questo trasferimento risulta essersi verificato il 30 luglio; il sospetto avrebbe poi lasciato il Paese proprio il giorno successivo all’uccisione della Dugina. I servizi segreti lo accusano di aver fornito false targhe automobilistiche, oltre a falsi documenti, alla Vovk, sotto copertura, col nome di una cittadina kazaka. Pare altresì essere stato il fornitore ufficiale dell’ordigno che ha ucciso la Dugina. I servizi segreti russi pertanto non si fermano, indagando maggiormente sui dettagli relativi al misfatto.

Il 22 agosto la Fsb ha stabilito, dopo attente analisi, che la cittadina Ucraina Vovk è sicuramente implicata nell’omicidio e che l’esplosione era stata appositamente preparata dai servizi speciali ucraini. La Vovk e sua sorella minore, subito dopo l’uccisione della Dugina, si sarebbero subito allontanati verso l’Estonia. A seguito di ciò, Putin ha firmato un decreto che assegna a Dugina, notoriamente aperta sostenitrice dell’operazione militare Ucraina, l’onorificenza dell’Ordine del Coraggio, per la dedizione mostrata nell’esercizio del suo dovere professionale.

 

Daniel Mateo Montalcini – a cura di Massimiliano Nespola


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