martedì 29 novembre 2022

Tutto torna ...

23 anni sono trascorsi dalla caduta del Muro di Berlino, che sembrava dovesse portare il mondo verso un cessate il fuoco tale da arginare il rischio nucleare e verso l’allentamento delle tensioni lungo la cortina di ferro. Era infatti divisa, a quei tempi, l’Europa occidentale da quella orientale, spaccando a metà una città intera, Berlino. Quella alla quale si assisté fu una prova di avvicinamento culturale e commerciale, se non mossa in realtà da ragioni ancor più rilevanti, politiche, relative ai fondamentali, imprescindibili rapporti tra Est e Ovest del Pianeta.

Due furono i leaders a reggere le fila: Gorbachev, da un lato, il quale permise due anni dopo la caduta ufficiale dell’U.R.S.S., per permettere la liberazione ed indipendenza di tutti i paesi dell’Est, fino ai 91 satelliti del decaduto impero sovietico ed il passaggio del testimone a Eltsin; dall’altro, l’attore divenuto presidente degli U.S.A, Ronald Reagan, icona del sogno americano. Ma l’intermediario fondamentale fu senza ombra di dubbio il Papa polacco Karol Wojtyla, Giovanni Paolo II.

Il primo Pontefice non italiano eletto nel ‘78 fu artefice di una vigorosa azione politica, che sancì la fine del comunismo oppressivo favorendo pertanto la creazione di un socialismo reale, che si rifletteva nella linea politica di Gorbachev, orientato verso un’azione politica socialista più democratica, che si espresse nella Perestroika.

Nel mondo attuale, similmente, è possibile assistere ad un intervento fondamentale della Santa Sede a guida di Papa Francesco I, gesuita, uomo molto deciso e diretto, che può facilitare una reale conclusione del conflitto russo-ucraino e gli sviluppi positivi che la fine della guerra può portare a medio-lungo termine, soprattutto sul piano politico, economico e nondimeno sociale, per un riavvicinamento degli abitanti dei paesi vicini, tra loro collegati perché precedentemente cittadini di uno stesso Paese unito.

 

Daniel Mateo Montalcini - a cura di Massimiliano Nespola

sabato 5 novembre 2022

Le tensioni Russia-Cina

di D.M. Montalcini

 

A fronte del costante indebolimento di Putin anche verso i Paesi che prima gli erano amici, sembra mutato l'atteggiamento della Cina. Tra i due Paesi esistono infatti dissapori territoriali risalenti al 1860, quando il territorio comprendente Vladivostok venne occupato illegalmente dalla Russia ed assieme a quella città le rimanenti 23,000.00 miglia quadrate che - pare - appartenessero dapprima alla Cina.

La posizione strategica di Vladivostok funge da porta militare e commerciale della Russia verso il Pacifico. Secondo la Cina, questa città dovrebbe tutt’ora portare il nome antico cinese, Haishenwai. Lo squilibrio demografico dovuto alla posizione dell’area e della città precedentemente sotto dominio cinese ha generato una interessante questione: lo spopolamento dei territori russi più ad Est darebbe adito alla Cina di spingersi verso nord. Il controllo sul versante del circolo polare artico fornirebbe così maggior peso al Dragone.

La Russia, intanto, versa in gravi difficoltà dal punto di vista militare, con l’esercito russo stesso ridotto persino a chiedere supporto dall’Iran e - non esclusi - il gruppo di stati ex sovietici. È rimasto poco all’arsenale russo convenzionale per scoraggiare l’aggressione militare da parte della Cina. Per far fronte alla delicata situazione bellica, disperata sul fronte russo, le truppe putiniane stanno riattivando carri armati T-62; per ironia della sorte, erano in uso 50 anni or sono quando vennero sequestrati ai russi da parte proprio dei cinesi. Conseguentemente, il disprezzo nei confronti dell’esercito russo sarà sempre più complicato da contenere per la Cina. 

D’altro canto, la Cina deve ora gestire la non facile questione con Taiwan. La regione autogovernata dal 1949, che la Cina pretende di riacquisire sotto il proprio controllo, defininendola regione ribelle, continua a definirsi indipendente. Il rieletto Presidente Xi considera realizzabile la sua riannessione entro il 2049. Da qui a quella data prefissata, si doterebbe la Cina dei mezzi per riprenderne possesso, tramite una massiccia riforma militare ed una rapida modernizzazione. Sul fronte strategico, alcuni osservatori esperti della zona e delle dinamiche in questione temono che la Cina, forte di correnti favorevoli e dati economici, possa dare una spinta maggiore col fine di intraprendere azioni militari negli anni a venire, per riprendere possesso dell’isola indipendente.

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